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      Quindi si levò una nenia lugubre di voci discordanti, le quali stridevano le litanie su la musica della sega scuffinata a suono di lima, o di marmo raschiato; e cessate le litanie, da capo i trecento usci chiusi, i trecento catenacci tirati, e lo squasso dei mazzi delle chiavi. Queste cose accadevano fra tenebre fittissime, per modo che Beatrice ignorasse se avesse perduto la vista, o se a buio perpetuo l'avessero condannata. A torla dal dubbio indi a breve la spaventa un rovinìo sul capo, e subito dopo un cotal poco di luce grigia si mise nel carcere. Recatasi, tra stupida e atterrita, a sedere sopra il giaciglio specola il luogo dove l'avevano rinchiusa: era una cella quadrilatera, lunga, e larga fra sei passi e sette, di soffitto altissima, terminata a cuspide ottusa: nella parte superiore aprivasi un pertugio sbarrato da grosse bande di ferro, donde però non si contemplava il firmamento, chè andava a sboccare in certa maniera di abbaino, il quale prendeva luce da una finestra per traverso. In cotesto macello di carne umana un meriggio di agosto appariva come un vespro nel mese di dicembre, e un vespro di dicembre come l'Ave Maria della sera nelle terre boreali. Allora Beatrice conobbe due cose essere senza misura nel male: lo inferno nella vita futura, e la perversità dell'uomo nello escogitare trovati capaci a tribolare il proprio simile nella vita presente. Piegò vinta la faccia pensando ai destini di questa razza feroce, la quale si vanta creata ad immagine di Dio(148).


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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