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      Questi esaminò con diligenza le mura, il pavimento e lo spiraglio, e poi alla sfuggita sogguardò anche Beatrice, mostrando egli solo fin lì un'aurora boreale di compassione. Sul punto di uscire dalla cella fu udito favellare queste parole:
      - Sana cotesta prigione non si può dire in coscienza, e per di più è buia: trasporterete il numero centodue al numero nove, e gli addobberete la stanza con mobili convenienti; pel trattamento gli somministrerete quanto desidera, già s'intende nei limiti della temperanza... Avete capito? Trasgredendo, due tratti di corda senza pregiudizio di pene maggiori. Avete capito?
      Così anche la umanità assumeva faccia di ferocia, e di contumelia. Però Beatrice ritenne che cotesto personaggio, il quale in seguito conobbe essere il soprastante delle prigioni, si fosse soffermato a dare con voce alta cotesti ordini perchè giungessero a sua notizia, e ne prendesse conforto; ond'ella lo raccomandò al Signore, non le rimanendo altra via per manifestare la propria gratitudine.
      Al soprastante fu inteso rispondere con un forte grugnito, il quale poteva apprendersi per un: "Illustrissimo sì".
      Il traslocamento avvenne nel modo col quale fu ordinato, e Beatrice si ebbe nella nuova cella un tozzo di pane bianco, e un raggio di sole puro: con questi la creatura umana può vivere, o almeno aspettare che la scure o l'affanno la uccida.
      Una volta la scure, perocchè la giustizia ferocemente sincera gavazzasse brandendo la spada; ai miei giorni lo affanno; avvegnadio, piegando ai tempi, anche la giustizia, educata in collegio dai Gesuiti, siasi fatta ipocrita: ma non dubitate, no, i suoi colpi per essere ammenati co' bastoni di arena non riescono meno mortali di quelli percossi con la piccozza.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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