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      - Giurate.
      Beatrice distesavi sopra la destra candidissima, così favellò:
      - Giuro sopra la immagine del divino Redentore, che fu per me crocifisso, di esporre la verità perchè so, e posso dirla; se non potessi o volessi, mi sarei astenuta da giurare.
      - E così aspetta la giustizia da voi. Beatrice Cènci, incominciò a interrogare il Moscati, voi siete accusata, e le prove in processo lo dimostrano sufficientemente, di avere premeditato la strage del vostro genitore conte Francesco dei Cènci, con la complicità della matrigna e dei fratelli vostri. Che cosa avete da rispondere?
      - Non è vero.
      E con tale ingenuo candore pronunziò queste parole, che, non che altri, San Tommaso si sarebbe chiamato vinto; ma il giudice Luciani brontolava fra i denti:
      - Non è vero, eh?
      - Accusata; v'imputano, e le carte del processo lo provano sufficientemente, voi avere, in compagnia dei predetti parenti vostri, conferito il mandato a uccidere il conte Francesco Cènci ai nominati Olimpio e Marzio banditi, con la promessa del prezzo in ottomila ducati di oro; di cui la metà subito, e l'altra metà dopo consumato il delitto.
      - Non è vero.
      - Adesso adesso vedremo se non è vero; - mormorava il Luciani, come se le tenesse il bordone.
      - Siete accusata, e dalla procedura resulta provato sufficientemente, avere voi fatto dono, o dato per giunta di prezzo, al nominato Marzio un tabarro scarlatto trinato di oro, che fu già del defunto conte Francesco Cènci.
      - Non è così. Il padre mio donò quel tabarro a Marzio suo cameriere, prima che da Roma si partisse per la Rocca Petrella.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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