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      CAPITOLO XXIII.
     
      I GIUDICI.
     
      Di nuova pena mi convien far versi.
      . . . . . . . . . . . . . . . . . .
      Chè dove l'argomento della menteS'aggiunge al mal volere ed alla possa,
      Nessun riparo vi può far la gente.
      DANTE, Inferno.
     
      Ha la sventura un vento che la precorre, e chiamasi augurio: le anime pacate per mille indizii lo presentono, come gli uccelli lo approssimarsi del turbine: le altre poi, dalla vicenda dei quotidiani eventi perpetuamente commosse, non se ne accorgono, e la sventura le coglie subitanea e improvvisa.
      Invano il giudice Ulisse Moscati chiudeva le orecchia alla voce interna, la quale insistente gli diceva: "tu getti via i passi". La voce tornava a sconfortarlo, e per la sua mente si avvolgevano pensieri simili a spettri, che in parte celino, e in parte palesino il minaccioso sembiante; nè egli osava interrogarli, e che si scuoprissero più palesemente aveva paura: tuttavolta, sciolto un grandissimo sospiro, e supplicato il cielo di uno sguardo, si avviò al palazzo Vaticano. Fattosi annunziare aspettò con pazienza per bene due ore, finchè il camerario del Papa gli partecipò che poteva entrare, e scortato da lui si trovò al cospetto del Sommo Pontefice.
      Fosse per amore della vista, o quale altra causa più vera lo persuadesse, il candelabro appariva circondato da un cerchio di seta verde per modo, che dal busto in su la faccia di Clemente VIII non si distingueva, nè punto vedevansi Cinzio Passero e Pietro Aldobrandino cardinali nipoti, che stavano fermi in piedi dietro la spalliera della seggiola.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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