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      Egli è il sacerdote scettrato, il Vicario di Cristo Redentore, quegli che faccia a faccia favella con l'Agnello di Dio, che immolò se stesso alla salute degli uomini... E chi altri, tranne che lui, avrebbe osato in Roma favellare di morte?
      Disperatamente il preside afferrò la penna: abbrividendo la intrise nello inchiostro, che gli parve sangue; abbrividendo firmò... ma pure firmò; e poi, senza piegare il collo, così obliquamente con la mano sospinse il foglio al suo collega, e questi firmò, e fece come quegli, e così gli altri. Se gli Angioli videro cotesta infamia, certo piangendo si copersero gli occhi con le ale. Ma essi firmarono, poi uscirono. Clemente VIII scese con pesanti passi dal trono, si accostò alla tavola, stese a stento la mano trafitta dalla podagra alla sentenza, e poi gemendo di angoscia se la ripose nel seno, come un pugnale.
      I giudici si separarono muti, ognuno detestando se stesso e gli altri. Nel buio della notte, chi qua chi là andò studiando il passo, a mo' di ladri paurosi di essere incontrati dal bargello. Tutti riceverono il prezzo del sangue: promossi a carica più eminente, ebbero stipendio maggiore: nessuno sentì la verecondia di Giuda, riportando i danari al sacerdote; nessuno il rimorso di lui, impiccandosi al primo albero che si parò loro davanti per la via: vissero, e morirono disprezzati e aborriti per di dentro; piaggiati, da cui ne aveva bisogno, per di fuori; e venuti a morte, con meno di uno scudo i parenti comprarono un epitaffio da dozzina, il quale, inciso sopra una lapide quattro volte più grande di quella che per molto spazio di tempo coperse in Roma le ossa di Torquato Tasso, faceva fede cotesto carcame essere appartenuto a magistrati integerrimi, della patria e della umanità benemerentissimi.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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