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      Il clarissimo signor Ventura allora lesse la sentenza, non omettendo clausula e nè un eccetera, con voce lenta, monotona, lugubre come i tocchi della campana che suona per gli agonizzanti. Quando ebbe finito levò gli occhi verso Beatrice, perchè aveva già ritrovato nella sua memoria certo discorsetto intorno alla virtù della pazienza, altre volte in pari occasioni da lui favellato, e, per quanto glien'era parso, con moltissimo frutto; ond'ei, mutatis mutandis, si accingeva applicarlo al caso; ma vistala inconcussa, non è da dire se rimanesse contento di risparmiarselo. Inchinata pertanto la persona, usciva co' suoi cursori incamminandosi a rinnuovare lo ufficio con gli altri condannati. "Il discorso, pensava fra se, mi gioverà con quelli che parranno averne bisogno: niente di troppo!"
      - Virginia, soggiunse Beatrice prendendo per mano la fanciulla, di grazia esci per un momento. Il tempo, come sai, stringe; domani... e prima di morire ho da confessarmi, ed assettare le cose dell'anima. Va, sorella mia, ti chiamerò...
      Virginia si sentiva scoppiare il cuore; partì senza aprir bocca, e quando avesse voluto farlo non le sarebbe riuscito. Beatrice avendo avvezzato il guardo alla scarsa luce, vede nello angolo della prigione un genuflesso che teneva il volto nascosto nelle mani: anche lui cuopre un cappuccio, nè trapela parte alcuna delle sue sembianze: sta immoto così, che non rassembra animato. Perchè si trattiene costui? E chi è egli, che presumerebbe essere messo a parte dei segreti del cielo?


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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