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      Tornato, con un calcio mi rotolò in cantina, e mi vi chiuse dentro: colà l'aria umida e grave, il nutrimento guasto e sottile, ma soprattutto la passione (perocchè se voi sapeste, o uomini, qual cuore si abbiano i cani, preghereste Dio da mattina a sera di potere camminare con quattro gambe), mi cagionarono la schifosa malattia della quale mi trovo infermo. - Alla signora poi oggimai importava poco che i cani abbaiassero o tacessero: - alle visite tarde e notturne aveva assuefatto il marito.... quindi nè anche da lei ottenni un sospiro o una memoria. Avendo osservato un giorno socchiusa la porta della cantina, esclamai come Scipione: - ingrata casa, tu non avrai le mie ossa! - e con le zampe e col muso l'apersi intera, e fuggii; ma percorso un tratto di via mi volsi indietro a guardare le pareti inospitali, eppure a me care, per tante gioie godute, - ed anche, poichè così piacque al cielo, per tanti dolori sofferti, e tale me ne venne al cuore angosciosa stretta, che, tratto fuori un sospiro lunghissimo, per poco non tornai indietro a morire quivi di affanno... Ma risovvenendomi del villaggio ove io aveva salvata la vita al fanciullo, e la sicurezza in cui mi stava che mi avrebbero usato costà oneste e liete accoglienze, mi persuasero a proseguire. Arrivo, e mi affaccio appena alla piazza, che ecco levarsi un trambusto di urla e di fischi, e poco dopo un nuvolo di sassi. Vedi tu questa ferita nella gamba? Sai tu da qual mano mi venne? Tu fremi...? - Odilo, e fremi bene altramente poi.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





Dio Scipione