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      Questa sua ostinazione, come a lui, nocque a moltissimi, e troppo spesso ci tolse opere egregie. Una volta eravamo doviziosi d'ingegno, e con dolore sempre, ma con danno non grave di questo nostro paese, vedevamo sprecarlo. Ora poi cominciamo a patirne penuria, e ragion vuole che attendiamo a farne risparmio. La vita dissipata, la vertigine dei casi, il desiderio soverchio di provvedere ai beni terreni, il poco rimerito di fama, o qualunque altra causa più vera, ci hanno dissuaso dall'educare nel povero tetto un alloro con lungo studio, il quale ornava a un punto le tempie dell'uomo e della patria. Come colui che ha poco lume, a noi bisogna ripararlo col cavo della mano onde venti maligni non ce lo spengano e rimanghiamo desolati da tenebre insolite. Giova pertanto non logorarci in vani conati; poniamo diligente cura a conoscere noi stessi, dacchè insieme col difetto di volontà noi ci accorgiamo essere questi i vermi che rodono la gloria delle lettere italiane.
      Ma per tornare al Benci, la sua morte accadde inosservata, mancarono pompe, e memorie; non gli mancarono affetti, perchè egli seppe amare, ma furono di pochi amici che non fuggono mai il capezzale dell'uomo dabbene. Or come avvenne questo? E sì ch'egli ebbe pratiche molte, che io mi guarderò bene profanare col nome di amicizie; ma per sua somma sventura ei l'ebbe principalmente tra i professori di umanità, tra i rigattieri di filantropia, e simile geldra d'ipocriti vecchi e nuovi, che putono un miglio lontano di mozzicone di lumen christii e di pappe di asili infantili.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





Benci