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      Una volta, una legge d'iniquità puniva il misero oppresso dalla fortuna, e il vile speculatore del delitto: qualunque fallito, negli antichi tempi della repubblica fiorentina, nudata la parte del corpo che l'uomo cela per verecondia, doveva pubblicamente e tre volte batterla su la pietra dove si legava il carroccio. - In tempi più recenti le leggi di Europa condannavano il fallito in buona fede al carcere perpetuo. Questo stolto rigore faceva a ragione sollecita la gente a fuggire i temuti giudizi, a celare nei suoi principii la cosa, a sottrarla dall'ingiusto ordinamento. - "La energia del negoziante non deve essere indebolita o spaventata dalla pena: è bastante quella che dipende dalla cosa stessa. Il legislatore deve punire nel negoziante la negligenza e la frode,"(100) scrisse il nostro Filangeri; e le odierne leggi non solo vollero rimandato libero l'onesto fallito, ma ristorando l'offesa della sorte, disposero che potesse a titolo di soccorso domandare una somma sopra i suoi beni (538); imperciocchè il Codice di Commercio fosse compilato da una gente che sapeva e voleva leggere la Filippica 2a di Cicerone al punto in che divide in tre classi i falliti: - fortunæ vitio, vel suo, vel partim fortunæ, partim suo vitio. -
      Tolto così il timore d'involvere il reo coll'innocente, non v'è motivo di sfuggire per questa parte il Tribunale.
      Deplora il nostro Filangeri la facoltà concessa ai negozianti di stipulare col fallito doloso: e a ragione si lagna; perchè non deve appartenere all'individuo il far sì che un'azione sia o non sia delitto.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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