Pagina (287/469)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Gl'ingegni dei cittadini diventarono molli, intenti ai commerci, cupidi di guadagni, e sopra tutto alieni miseramente dalle armi. I cittadini non combattono più, ma pagano le battaglie; la politica diventa cavillosa, proditoria e vile, come la procedura dei giudizi in mano dei tristi che bene si chiamano sacerdoti della giustizia, - s'egli è a modo dei sacerdoti pagani, per isgozzarla; le ambizioni e i tumulti del governo, retaggio di pochi astuti. Studi vi furono, ma non gagliardi e virili: bene scopersero le opere famose dei greci e dei romani scrittori, le commentarono, le schiarirono, a lezione migliore ridussero; ma coteste sono industrie, non arti: lettere e favelle antiche appresero, ma la favella e la letteratura nostre patirono danno; la civiltà defunta disotterrarono come una città sepolta sotto la lava del Vesuvio, la propria neglessero; forse s'essi non erano, riuscivano meno politi, ma certo più forti. Giotto e Dante per lungo tratto di tempo rimasero senza eredi degni di loro. Se al seme ottimo corrispondeva il frutto, Raffaello, Lionardo e Michelangiolo avrebbero dovuto esserci successori di cotesti divini intelletti; ed eglino giovando ai tempi, e i tempi a loro, non avrebbe il primo stemperato l'anima bella nel delirio della voluttà, nè cercato il secondo asilo nella reggia dei tiranni, nè il terzo riparato prima nella salvatichezza, poi nella contemplazione delle cose divine, e sfiduciato ormai di ogni speranza terrena. Forse il genio loro li ammoniva giungere per la patria i giorni novissimi, ed essi nati o troppo presto o troppo tardi, ma certo inopportuni; però se non avventurosi al paese gli anni in cui vissero, furono grandi e pieni di avvenimenti magnifici.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





Vesuvio Dante Raffaello Lionardo Michelangiolo