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      Se la pittura ad effigiare il suo poema adopera l'iride dei colori, e se la poesia l'armonia della lira, ciò non fa sì che il concetto abbia sede in parte diversa. Chi insegnerà all'uomo la mesta pacatezza del pensiero, e la segreta voluttà che sente nel vedere un magnifico tramonto, o nello udire un suono che sembra voce di genio invisibile, o nel contemplare una sembianza irradiata di gioventù e di bellezza? Chi educherà l'anima ai misteriosi colloquii col suo Creatore, per cui, da queste terrestri miserie sollevandosi, arriva a presentarsi faccia a faccia avanti a Dio? Chi il subito commuoversi, chi il brivido delle fibre tenuissime, e il nobile entusiasmo e lo sdegno generoso, e tutti gli altri elementi che formano l'anima dello artista e del poeta come le corde di un'arpa divina?
      Ma posti anche in disparte tutti questi attributi psicologici, a me sembra, non che difficile, impossibile, che uomo possa per virtù imparare quanto pure si referisce alle ragioni del bello, considerato anche più materialmente. L'Urbinate non fu visto frequentare le scuole di Lionardo e di Michelangiolo, e nonostante apprese da ambedue loro, bastandogli a questo fine la vista. Per le intelligenze disposte, comprendere il meglio e conseguirlo, avviene a modo di favilla che arde le polveri. Una parola scende sopra cotesti sacri capi, come le lingue infocate sopra gli Apostoli il dì della Pentecoste. Con uno sguardo penetrano a un punto ed illuminano uno abisso, ove altri non vide, tranne tenebre e confusione.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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