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      Da qual causa poi ciò derivasse, ignoriamo: forse dalla propria benevolenza, forse anche dal desiderio che abbiamo che ogni cosa da noi immaginata consegua il suo fine. Però la pietosa madonna senz'altro badare, con voce alta abbastanza per essere intesa dalla nipote, le susurrava: "Fate che il gentiluomo a voi vicino legga
      nel vostro libro, avvegnachè paia ch'egli abbia dimenticato il suo." La Dianora tenendo sempre gli occhi bassi, non sospettando chi le stesse accanto, declinò piacevolmente la testa, e trasse il libro da parte onde il gentiluomo avesse agio di leggere. Ippolito tese la mano e lo sostenne insieme con lei. Ma la sua mano era tremante, e l'anima della Dianora così profonda meditava a colui che le stava al fianco, che non lo avvertiva. Di lì a poco però, il libro vacillava per modo, che richiamato il pensiero della donzella alla considerazione degli oggetti presenti, si volse per vedere se il gentiluomo si sentisse male. Veduto che l'ebbe, torse il volto, e sentendosi incapace a reggere più oltre, mormorava nell'orecchio alla zia: "Io manco!" - Si levarono le donne, ed uscirono di chiesa; senonchè, appena l'aria fresca punse la Dianora, svenne, e fu portata a casa.
      Nel momento stesso accadeva che Ippolito mal potendo celare la concetta passione appoggiasse il capo al pilastro, ed altamente gemesse, come colui che temeva averla concitata a sdegno. Avventuroso lui che i gemiti non si ascoltassero infrequenti in luogo dove talvolta la coscienza rimordeva il peccatore, e quei che l'udirono tennero per fermo Ippolito non sentirsi puro quanto se lo erano immaginato; e nella mente loro ripensando ai suoi costumi solitari e studiosi, conclusero un qualche misterioso affanno travagliargli lo spirito.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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