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      Oh! quanto è cosa impossibile immaginare la trepidanza dei due amanti in cotesta ora, e non sentirsi trasportare col pensiero nella condizione di quelli!
      Ippolito si accosta alla Dianora. Il suo occhio se ne stava fisso sopra i lontani monti di color celeste, ma l'anima sua era raccolta entro la camera. Le copriva la testa una reticella di seta verde, tessuta in oro, che mollemente conteneva i bei capelli, e sembrava che volesse accennare il collo candidissimo; - sentì un alito che le scaldava il collo, e sollevò le braccia per acconciarsi la rete. Per questo modo apparve manifesto il contorno leggiadrissimo della sua cintura, ed ei gliela cinse con ambe le mani, cosicchè venisse a porle sul cuore della donna innamorata, e: "Mi vorrà" diceva "perdonare di questo." Veramente aveva ragione per favellare così, sentendoselo balzare sotto le dita come se volesse venir meno. La Dianora diventata tutta vermiglia, rimosse con le sue mani la destra d'Ippolito, ed ei la ritenne pur sempre con la sinistra. "Messere Ippolito," alla fine parlò, "io temo forte che voi non mi crediate..." "No, no," interruppe Ippolito, "non temer nulla di quello che io possa credere o fare. A me spetta temere del tuo celeste sembiante, che del continuo mi vegliava sul letto, e mi pareva vederlo sdegnato con me solo tra tutti i viventi della terra." - "E mi hanno detto che voi foste ammalato," rispose Dianora con voce soave; "e la zia forse conosce ch'io... crede... E dimmi, sei tu stato male davvero?" - Qui senza accorgersene posava una mano sopra le sue.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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