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      no tutte salve," fingendo paura, diceva, "non ne ho toccata una sola." - "Sola; di che?" domanda l'altro; "cosa è tutta salva?" - "Le gioie," risponde Ippolito; "per l'amore di Dio lasciatemi andare: questo è il mio primo, come sarà l'ultimo errore: - lasciatemi: io poi ho in mente di restituirle," - "Restituirle!" esclamò il primo; "oh! questa è singolare davvero: tu devi essere un ladro gentiluomo con siffatta cortese volontà, e noi vogliamo vedere un po' chi tu sii, non fosse altro per tua soddisfazione, Filippo, eh? " - Or questo Filippo era un baro solenne, e: "Maledetto!" gridava, "ti ho già le mille volte ripreso per questo nominarmi che fai: alla stagione che corre non istà bene, quantunque scommetterei che mi abbia anche egli giuntato la sua parte."
      A vero dire Filippo temeva non poco che l'arrestato si convertisse in qualche giovane da lui medesimo rovinato, e ridotto a commettere quel delitto: ma il suo compagno più caparbio volle conoscerlo; e Ippolito, costretto a seguitare la necessità del destino, venne tratto alla luce. A tal vista esclamarono i nemici: "Un Buondelmonte! il magnifico Messere Ippolito Buondelmonte! Messer Ippolito, io vi bacio le mani, e vi sono ad un punto servitore e bargello; in fede mia, vuole esser questa la lieta novella per domani."
      Venne il domani, e fu giorno di tristezza pei Buondelmonti, e di gioia per tutti i Bardi, tranne per la povera Dianora. - Ella non sapeva qual cosa avesse impedito Ippolito dal continuare la salita; un qualche caso lo aveva certo trattenuto, ma di qual natura ignorava.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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