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      Ma i circostanti attribuivano quell'affanno alla paura della morte, ed istigati dalle parole dei partigiani dei Bardi, mutarono la compassione in disprezzo. Si prostrava ai piedi del potestà, e strettamente le sue ginocchia abbracciava. Lo stesso suo padre, come cosa abietta, lo respingeva. Vedendo allora stargli ogni vivente contrario, sorse, e risoluto di conservare il segreto per l'onore dell'amata donna, si dichiarò pronto a morire. - Il potestà lo condannava a morte nel veniente giorno.
      Venne il giorno, e venne l'ora. Il gonfalone di giustizia fu appeso alla porta del palazzo della Signoria, e la tromba per la città annunziava la morte d'un reo. La Dianora, che aveva tutte queste cose saputo, udendo adesso il suono della tromba, voleva prorompere fuori, e dichiarare il segreto; ma la represse madonna Lucrezia, parlandole della madre e del padre, della casata, del mondo, della impossibilità di salvarlo. La Dianora poco avrebbe badato alla casata e al mondo, pure il costume di venerare i suoi genitori, e la paura di loro rampogne, la fecero soffermare: - stava; - nulla imprendeva, - soltanto udiva, cosparsa di mortale pallidezza. - Intanto la processione comincia ad avviarsi fuori di Porta alle forche.
      Uscito Ippolito dal carcere, più che di reo, mostrava sembianza di martire. Procedeva mansueto, con un vermiglio soprannaturale su le guancie, conseguenza del sacrificio al quale durante la notte si era con altissimo proponimento consacrato. Soltanto prega, come ultima grazia, di essere tratto per la via dei Bardi al luogo del supplizio, imperciocchè avendo vissuto in grande inimicizia contro quella famiglia, e sentendosi adesso spogliato di ogni odio terreno, desiderava benedire in passando la casa dei suoi avversari.


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Scritti
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1847 pagine 469

   





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