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      Tornarono i padroni a Roma - notte tempo: - taciti, guardinghi rientrarono nel palazzo dei loro maggiori, non altrimenti che se fossero ladri venuti per rubare. Salite le scale si avviarono alla stanza mortuaria del marchese Flaminio; ma per arrivarvi fu loro mestieri attraversare la sala dove avevano ammazzata la bella Siciliana. Appena misero i piè sopra la soglia, invece di passare addirittura per lo mezzo, furono visti studiarsi a rasentare la parete; e don Marcantonio in ispecie, per costume di persona oltre ogni credere lindissimo, pasṣ in punta di piedi come si usa da cui vada per guazzo, per amore della calzatura. Arrivati che furono nella stanza del defunto genitore s'inginocchiarono tutti intorno al letto in sembianza di pregare, ed appoggiarono il capo alle materasse: di subito peṛ, come se avessero toccato fuoco lavorato, si levarono d'impeto e partirono4. Don Marcantonio quando torṇ a passare per la sala mi chiaṃ a sè con un cenno del capo; e mostratomi col dito il luogo dov'era caduta la matrigna, mi disse sotto voce:
      Mi sembra, che in tanto tempo avreste pur dovuto trovare un momento per tôrre via cotesta macchia.
      Macchia! risposi io, e di che?
      Tutti allora mi furono addosso, susurrandomi nel medesimo punto all'orecchio:
      Di sangue... di sangue...
      Ond'io, inchinatomi rispettosamente, soggiunsi loro:
      In verità di Dio, padroni miei riveriti, si assicurino che con le mie proprie mani ho lavato sette volte il pavimento.
      Allora si strinsero nelle spalle, e senza arrogere motto si partirono: io mi rimasi ĺ attonito, pensando che vagellassero.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerd́ santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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