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      Ora io pensava tra me: e perchè mai mi resi micidiale di tanti cristiani battezzati? In verità non lo so. Odiava io forse gli uccisi? mai no: veruno odiava, anzi qualcheduno fra essi amava. Mi avevano per avventura offeso? neanche. Dunque? non ne so niente. Avvelenai il mio fratello maggiore per cupidità delle sue ricchezze? Neppure per sogno: di danari non fui vago giammai; e poi ne possiedo molti, forse troppi, di mio. - Perchè dopo avere sostenuto il tormento, perchè dopo ch'era stato spedito il decreto della mia liberazione mi sono accusato io? Non ne so niente, non ne so niente. Io sono una ruzzola in mano alla fatalità: io vado, io rotolo lanciato dal braccio del destino, io sono condannato a precipitare inevitabilmente; e così dissi al Giudice, e questo dico anche a te, Orazio. La maledizione di mio padre mi tira pei capelli... Guardalo, Orazio... vedi ve'... egli è qui...
      Chi mai, esclamo voltandomi di soprassalto, è qui?
      Il clarissimo Marchese di santa Prassede... don Flaminio Massimi... il padre mio insomma. In meno che non fa un'ora egli si è affacciato ben quattro volte sopra la soglia della prigione mostrando pressa, e mi fa cenno di seguitarlo...
      Per me non iscorgo nulla. E come volete, che si affacci sul limitare se hanno chiusa la porta per di fuori?
      Chiusa! chiusa! Come se porte e serrami lo potessero trattenere. Signor padre, io la supplico in cortesia a lasciarmi un'ora di libertà; poi stia pur sicuro, ch'io mi darò interamente ai suoi ordini... bene... gran mercè, signor padre.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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