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      In questa isola stanziavano per ordinario alcune fuste viniziane con altri legni minori sparvierati e sottili, messi là come sentinelle avanzate a speculare le mosse delle flotte turche, sorprenderle alla spicciolata, combatterle e impadronirsene, o apportare loro i danni, che si fossero potuti maggiori. Ond'io lascio che consideriate voi, se a quelli che li governavano, o vogli uffiziali o vogli marinari, e soldati, facesse mestieri essere arditi davvero, avendo a mettere quasi quotidianamente la vita in isbaraglio frammezzo a disperate avventure. Indicatami la galera di don Severo, mi parve bene presentarmi a lui nella sera stessa del mio arrivo.
      Egli mi accolse silenzioso e grave, salutandomi con un sol cenno del capo; mi ascoltò senza proferire parola: ed io, comecchè ne avessi soggezione grande, pure attentandomi di guardarlo sottecchi, gli vidi espresso conficcato da una tempia all'altra il chiodo della maledizione paterna. Pallido egli era, e i suoi capelli neri gli scendevano giù per le guance e per le spalle rabbuffati a modo di criniera; profondi gli occhi e sanguigni; i sopraccigli irsuti ed aggrottati per guisa, che le pupille accese traverso i peli parevano fuoco in mezzo ad un roveto; nel nome, insomma, e nelle sembianze egli appariva Severo. Sempre chiuso in sè, passava le intere notti a pregare genuflesso sopra i freddi gradini dell'altare, davanti la immagine di Gesù crocifisso; delle altre pareva non facesse conto; correva fama eziandio ch'egli costumasse portare addosso il cilicio, e lo avevano sentito più volte, nel buio, flagellarsi a morte senza dire un fiato.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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