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      E rivolgendo a me la sua faccia, proseguiva pacato:
      Don Luca mi scrive lettere, nelle quali mi annunzia sentirsi prossimo a morire; non pertanto io osservo i suoi pensieri gagliardi, e la scrittura ferma così, che uomo sano non traccerebbe diversa. Non si sarebbe egli per avventura reciso la gola?
      Eccellenza no.
      Preso veleno?
      Oibò! le pare?
      Gittato nel Tevere!
      Nemmeno.
      Or dunque, dite, come moriva egli?
      E siccome io, peritandomi, esitava a rispondere, don Severo con voce incavernata e tremante, come uomo che faccia forza a sè stesso, balbutì: "Orazio... questo sappiate... e tenete sempre davanti agli occhi... che io non ho costume d'interrogare due volte... Dite aperto... io sto apparecchiato a tutto..."
      Ei morì giustiziato... don Luca.
      Giustiziato!
      E ci pensò un poco sopra, e quindi a breve don Severo riprese:
      E gli altri, giustiziati anch'essi?
      Domando perdono, eccellenza; - e qui, vincendo l'orrore da cui io mi sentiva compreso, a parte a parte gli narrai il modo col quale avevano terminato la vita loro don Marcantonio e don Mario.
      Dunque di mala morte sono morti tutti, tranne Pompeo?
      Per lo appunto così, eccellenza;
      risposi inchinandomi rispettosamente.
      Eh! già, così doveva ben essere; incerto il modo, certissimo il fine. - Strana cosa però!... Don Luca aveva migliori viscere degli altri, e non pertanto gli è toccata la morte più trista... ed ha commesso i delitti più atroci. Fatalità, che strascina! E noi siamo condannati non pure a capitar male, bensì a perdere la vita con accidenti strani e terribili, onde lo esempio nostro ammonisca a un punto e minacci.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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