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      Don Severo con presti accenti gli favellò:
      Momolo, stamani hacci passo di smerghi: vedete per costà lo stormo dei mali uccelli: guardiamo un po' se qualcheduno ci riuscisse sbrancarne. Lasciate stare la galera; faremo meglio con la fusta: quaranta rematori bastano a spingerla come sparviere; del rimanente è in punto, che ieri la visitai da per me stesso dalla carena al pappafico; - tra dieci - tra cinque minuti alla banda della galera.
      Udii, in meno che non si recita un credo, lo sfrenellare della ciurma; e la fusta sottile volava sopra le ale dei remi, tutta impaziente, tutta spumante, - cavallo arabo dei mari.
      Andiamo a vedere anche questa, io aveva detto nel calarmi dalla galera nella fusta; ma poi provai, che sarebbe stato meglio per me andare a terra, o rimanermi a bordo.
      Ora sapete voi, che cosa mi abbia tagliato così la faccia? Su, dite, via: giuoco Roma contro uno scudo, che veruno di voi la indovina in mille.
      Una punta di picca?
      disse un bandito.
      Niente.
      Un man rovescio di pistolese?
      interrogò un altro.
      Neppure.
      Una scaglia di bombarda?
      domandava un terzo.
      Cerca.
      Da' retta, che la indovino io; e' fu una stiappa di legname...
      Orsù, ve lo dirò io, interruppi; dacchè tanto non vi basterebbe l'animo di trovarlo di qui a un anno. Così mi ha concio un pezzo di cranio, ed ecco come. Di onda sguizzando in onda, giungemmo a tiro di bombarda dalla squadra turca. I legni nemici procedevano di conserva, ed a nessuno di quelli venne vaghezza di scompagnarsi per darci la caccia; molto più che vedevano potere ciò molto disagevolmente fare come quelli che avevano legni gravi a governare, ed il nostro scivolava stupendamente snello e leggero.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





Severo Roma