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      Quanto mi ragguaglia, circa a femmine, è brutto; più di tutto mi dolse dell'Alberti, di cui le sembianze tanto erano gentili, ma costumi secondo tempi, come frutti secondo gli alberi. Noi Toscani siamo ludibrio per la nostra codardia, e rilassatezza.
      Addio, stia sana, e si ricordi di noi. Salute a tutti.
     
      Aff.o parenteD. GUERRAZZI.
     
     
     
      A Ferdinando Bertelli
     
      Genova, 5 giugno 1857.
     
      Caro Ferdinando
     
      Ho ricevuto la carissima sua del 17 maggio, e da questa mi pare dovere intendere che la signora Ersilia ebbe la bontà di mandarmi due lettere senza ch'ella ne avesse risposta. Che sia così non l'impugno, dacchè l'afferma; quello che le posso affermare è, che io ho risposto sempre esattamente. onde ci dobbiamo dolere che le abbiano ad essere andate smarrite.
      Mi rincresce che la sua salute non migliori; ma pure, avvertendomi ella, che per guarire radicalmente abbisogna per due mesi dei bagni di mare, mi è dato argomentare che sia in cammino di guarigione. - Con tutti i voti le desidero, che questa avvenga per lei, per la famiglia, e per gli amici.
      Non disperi; dopo uno sforzo successe sempre il periodo della prostrazione: questo importa nulla: a tempi quieti ci siamo noi che non pieghiamo mai. Quanto a salute sto bene. A Torino non vado; attendo a stabilirmi a Genova; dove ella venendo mi figuro, che mi vorrà onorare ospite. A tutti in casa salute, e ricordi amorevoli e grati.
     
      Aff.o Am.
      GUERRAZZI.
     
     
     
      Genova, novembre 1857.
     
      Cariss.o Ferdinando
     
      Io sentirei con molto dispiacere le nuove del suo stato poco migliorato di salute se la giocondità della sua lettera non mi porgesse argomento, che per lo meno spera di rimanere in breve immune da ogni infermità. - Ho letto il bollettino dei Carnefici: vada franco, Dio ci è, e, quantunque non paghi il sabato, sempre paga.


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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