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      - Una predica! esclamai maravigliato. - Una predica, insistè egli, ed a me non sofferse l'animo ricusargliela. Ora come farò io? domandava a me stesso. - Quale oratore imiterò mai? Nei tempi andati aveva letto il Turchi e il Segneri, ma non me ne ricordava siccome avviene delle letture che mi lasciano poca impressione, bene mi rammentava di certo scrittore chiamato Carli il quale mi parve che con modestia pari alla bontà esponesse la dottrina di Cristo, e lo lessi in casa di certo Proposto campagnuolo mio amico, a cui lasciai le opere del Montaigne in memoria di me e certo non fu buono ufficio. Questo scrittore però non consuona alla mia maniera di sentire, onde io privo afatto di modelli da imitare mi rimaneva sgomento. - Ripensandovi sopra io favellava fra me: e che cosa importano le regole, e gli esempi altrui? Non basta lo Evangelo per ispirare? Raccogliendo la mente a contemplare i casi di Cristo forse non mi sentirò commosso? La commozione non genera forse le parole che valgono a impietosire? La pietà non accende la pietà come scintilla un gran fuoco? E Cristo sempre mi si accostò al cuore soavemente, come colui che bandì la libertà e la fratellanza fra gli uomini, e confermò la sua dottrina col sangue. - Così pensando scrissi di Cristo indegnamente forse, ma con animo pieno di reverenza. - Se in questa orazione manca l'arte, io vo' che sappiano piacermi assai che manchi. Fu scritta come il cuore la dettava, - in carcere per la libertà, mentre dentro e fuori le mura del luogo in cui io mi trovava ristretto risuonavano le grida di libertà. Che cosa importava a me se cotesti gridi non abbattevano la mia prigione?


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La vendetta paterna - Lettere inedite - Predica del venerdì santo
di Francesco Domenico Guerrazzi
Perino Editore Roma
1888 pagine 162

   





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