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      Don Ferrante, uso a volere le sue parole e più i suoi fatti, appena udito il caso, tenendosi scornato, rifece i passi macchinando vendetta; se non che, avvertito dal Lopez che si giocava di grosso a partita mal sicura, si fermò a Cuna; quivi di un tratto furono a trovarlo i noveschi con querimonie infinite; anco il Lopez lo metteva su, e non ce n'era di bisogno; ond'ei fece intendere che se la città non si fosse rimessa in lui interamente, guai! E quello che egli pretendeva era la intera alterazione degli ordini della città, e poichè conferendo assieme con gli oratori di Siena sovente scappava fuori in improperi contro parecchi orrevoli cittadini sanesi, Mario Bandini e Achille Salvi, sentendosi fra i vituperati, presero il morso ai denti e recaronsi a don Ferrante dicendogli le proprie ragioni con maggiore avventatezza che forse non conveniva. Don Ferrante rispose cacciando entrambi in prigione, e ciò non solo per ira quanto perchè gli accertava il Lopez che, levati di mezzo cotesti due potentissimi non meno che turbulentissimi, il popolo arìa dato le mani vinte. Pigliare il popolo a contrappelo gli è come giocare ad asso o a sei: qui don Ferrante fece asso; i Sanesi montarono in furore e con senno e celerità mirabili strinsero il comando in mano a pochi, chiamarono le milizie del contado, ne condussero nuove, eglino stessi con le armi assunsero disciplina di soldato e dalle vigilate mura fecero prova che contro al mare del popolo che vuole misera cosa è sempre un esercito regio, rigagnolo di plebe o compra o cappata a forza alla quale si pretende dare ad intendere che sia gloria per quattro quattrini al giorno ed un pane di cenere apprendere l'arte di ammazzare gli uomini senza saperne come senza curarne il perchè. Intanto il Bandini, rotta la inferriata del carcere, fatta fune dei lenzuoli, calandosi giù se la svignava; al Salvi indi a poco il Gonzaga per meno tristo consiglio rendeva la libertà, scapitando e non poco di reputazione anco per questa parte, dacchè all'autorità dello imperio male si provvede con la ingiustizia, ma se chiarisci poi che come hai l'animo di commetterla ti mancano le forze per sostenerla, allora di odiabile diventi contennendo, e il disprezzo del popolo è l'agonia del potere.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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