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      Oltre la naturale garosità, due cose rendevano così arditi i Sanesi: la prima e principale le fortune difficili in cui Carlo si trovava rinvolto nella Germania, la seconda la commissione dal medesimo Carlo affidata al marchese del Vasto di assettare le cose di Siena. Il marchese poi si giudicava dai Sanesi svisceratissimo loro, ed infatti era, ma di amor di tarlo, che rode i crocifissi; sicchè correva comune opinione che se il marchese veniva in Siena, di lì a poco se ne sarebbe fatto signore, cosa a molti molesta, ed a Cosimo dei Medici fuori di misura ostica, come quello che si vedeva furare le mosse: onde, che è e che non è, il marchese, mentre a Vigevano stava in procinto di partire, in mezzo a fieri dolori di ventre periva: in cotesti tempi corse voce che Cosimo gli avesse fatto propinare certa sua acquetta la quale per mandare al Creatore era un desìo; ma io, se togli che Cosimo di questi tiri era piuttosto innamorato che vago, e forte e grande lo premeva lo interesse perchè il marchese sgombrasse dal mondo, e la solenne sufficienza sua in fabbricare veleni, non ho altro riscontro per confermare cotesta voce.
      Dopo la morte del marchese, con vece alterna incominciò a dechinare la fortuna dei popoleschi; lo imperatore in Germania prendeva alquanto di respiro, sicchè gli fu dato di volgere un poco il pensiero all'Italia, e questo fece per riagguantare quanto si era lasciato ire di mano, e per ciò che spettava a Siena ne rimise subito la pratica al Granvela; allora i noveschi si limano a mettere su questo ministro, che non ne aveva bisogno, perchè di propria indole odiava il popolo, e gli sapeva male che avesse, composta appena, lacerata la sua riforma; di più quella licenza della guardia spagnuola molto diceva nel presente e più lasciava intendere nel futuro; don Giovanni dal canto suo non rifiniva da far fuoco nell'orcio, però meno per danneggiare altrui che per magnificare sè stesso, esoso al popolo pel danno che gli aveva arrecato, contennendo ai noveschi pel verun bene che poteva fare e loro non fece, servitore sempre ma coll'occhio aguzzo al proprio vantaggio, modello eterno dello impiegato di tutti i tempi e di tutti i luoghi il De Luna.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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