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      Ora ecco la legge del discolato che fosse: di tratto in tratto i consiglieri erano chiamati a segnare una nota di cittadini reputati perniciosi alla repubblica; tutti quelli che nello squittinio occorrevano scritti in due terzi delle note si mettevano da parte e si sottoponevano da capo alla votazione del consiglio se avessero a bandirsi; dove si trovasse che in tre quarti dei voti erano per bandirsi, durante tre anni cacciavansi fuori di stato.
      Con simile argomento si otteneva che nei casi supremi, dove l'attimo perduto a superare il pericolo genera esizio, l'animoso rettore non venisse distratto da far presto e bene dalle invidie, dalle malignità e peggio dalle più frequenti saccenterie d'inani mestatori. Il guaio fu che a Lucca, remosso il pericolo, l'arnese piacque e si mantenne non già in pro' dello stato(25), al contrario nello interesse dell'aristocrazia in danno dei popoleschi perchè non fiatassero, molto meno operassero; e conchiudo col dire che colui il quale crede che si possa governare sempre in un modo mettilo a mazzo del pilota che vorrebbe navigare a tutti i venti con una vela sola.
      Prima di ripigliare il filo dei casi interni, a fine di chiarire quale e quanta parte dei cittadini appetisse novità e perciò fosse disposta a sostenere la impresa del Burlamacchi onde conseguire riforme nel reggimento, con pochi cenni mi sbrigherò ad esporre come e perchè i cittadini tutti avessero a desiderare di emanciparsi dalla subiezione imperiale. Già dissi del diploma di Carlo IV; adesso aggiungo come Massimiliano I imperatore, senza giudizio e senza danari, venuto in fantasia di pigliare la corona a Roma e forse anche il papato, di repente per suoi oratori domanda alla Repubblica imperiale di Lucca gli mantenga attorno a sè cento fanti per un anno, gli paghi venticinquemila ducati e per ultimo il deposito per le crociate e i giubilei.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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