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      Di qui uno scompiglio da non si potere con parole descrivere; svolazzare di tonache di più fogge e colori, ceri e lampioni in fascio, cristi in pezzi, madonne rotte, chi urla e chi piagne, chi bestemmia e chi prega; chi si fa largo giocando di calci e di pugni, chi si rassegna a farsi calpestare mugolando allorchè qualche scarpa ferrata gli ammaccava le costole; donne capovolte in mucchio addosso ai frati, cui cotesta pareva strana novità; dei rimasti in duomo parte si restrinsero come pecore sotto il leccio quando la procella imperversa, parte dalle porte laterali spulezzarono a casa, dove arrivarono a tempo che la minestra non raffreddasse: tuttavia il tumulto rimase lì, e la processione potè ripigliare il cammino; ma la fu una cosa guasta, e ad ogni uomo pareva mille anni di levarsi la cappa e correre a casa perchè le mogli non istessero in pensiero; per tutto quel dì si ebbe una pace torbida, piena di ansietà; la mano dei cittadini, virtù fosse o paura (ma se virtù ci era, la paura vinceva di cento cotanti almeno), ricorreva più spesso al pugnale che alla forchetta mentre sedevano a mensa: finalmente, come Dio volle, per tutto il giorno e per la notte appresso non accadde altro strappo.
      La mattina per tempo, radunato il consiglio in cotesti giorni cambiatosi, per opera principalmente di Francesco Burlamacchi, che per la prima volta ne faceva parte, i padri deliberarono si ordinasse che le armi si deponessero e tre dei più facinorosi si bandissero. La mala bestia della plebe presente il morso, per ciò recalcitra con tutte le forze; invano qualcheduno non cieco affatto contrasta, ella lo scaraventa da parte, e buon per lui se non gli passa sul corpo; e poichè il furore della plebe, se non le poni davanti un obietto da abbattere, svapora, sorse una voce che chiedeva aversi a castigare i Buonvisi, i quali prima aizzatori o soccorritori, ora sperimentano nemici, ed era vero: forse li mosse amore di giustizia, ma è da credersi poco, piuttosto io penso che lo studio del giusto fosse in loro mescolato alla cupidità di primeggiare, ed era considerando che su città ruinata altri non regna eccetto la desolazione, però intendevano preservarla; subito con urli selvaggi una frotta di furiosi domanda si atterrino i palazzi dei Buonvisi, tutta cotesta casata si cacci in bando; a questi urli contrappongonsi altri gridi non meno formidabili: "Lascinsi in pace i Buovinsi, a chi tocca loro un capello guai!


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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