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      Dopo queste prime giustizie confidarono la facoltà di processare e di punire al pretore e ad una balìa eletta a tale scopo. Questo maestrato procedè come procedono tutte siffatte falci fienaie della giustizia umana: dodici condannò nel capo; stettero incerti su Bernardino Granucci e per tredici ore fra loro batostarono, poi nel dubbio lo uccisero, chè dichiararlo innocente menava in lungo e non era di buono esempio: della confisca non importa parlare, chè allora seguitava le condanne come l'amen l'oremus: sei in galera a vita, sei a tempo, a perpetuo carcere uno, a temporaneo quattro, sette relegati a vario confino, tre a perpetuo esiglio; otto, per non parere, assolverono. Dei cinquantacinque che citati serbaronsi contumaci, tre in perpetuo bando, gli altri, se tornavano, messi a morte; confiscati i beni a quarantacinque; quattordici ne uscirono illesi o per favore di parenti o perchè anco la giustizia dove la batte la batte. Non la risparmiarono a cotesti due preti, cristianelli di Dio, che avevano trovato a farsi il covo, uno all'altare della Libertà, l'altro alla mensa degli anziani; gli strozzò il boccone, e, siccome allora usava, senza tanti rispetti, notte tempo strangolarono i sacerdoti Giambattista di Daniello e Giuseppe da Matraia dopo averli sconsagrati nelle regole. Essendosi rinfocolati gli odii contro i poggeschi, i quali, dice il decreto, piuttosto come nemici che aspettano(33) luogo e tempo a nuocere che come cittadini grati ai beneficii ricevuti vivevano, privaronli tutti per tre anni degli onori: più avventurati assai dei preti Daniello e da Matraia furono due altri, uno Lorenzo Matraino, il quale, trovandosi prigione dentro una stanza del palazzo insieme a suo fratello Filippo, procurò gli fossero recati parecchi lenzuoli da casa, ch'essi con infinita industria ridussero in fasce ottimamente cucite dai lati, e mercè di quelle nel fitto della notte calatisi inosservati, si ridussero in luogo di salvezza; più strano caso fu quello di Paulino Granucci, a cui furono messi i ceppi, ma trovandosi ad avere così sottili le gambe che sguazzavano dentro, tanto s'industriò che giunse a cavarcele; allora con ardimento da fare rimbrividire chi vide i luoghi saltò giù sopra un tetto e da questo su di un altro, e così via e via, finchè di un salto non balzò in istrada, donde corso difilato alle mura, con un altro salto si trovò in campagna scampando la vita, e troppo bene se lo meritava.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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