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      E Tomaso Costo nella sua storia di Napoli, confermando lo atrocissimo caso, a questo modo dichiara: "A taluni segarono il collo, ad altri il corpo a mezzo della vita, altri giù dalle rupi precipitarono; tutti infine patirono atroce, ma pur bene meritata morte. Caparbietà pari alla loro non fu vista mai; il padre mirava perire il figlio, il figlio il padre; e gli scongiurati, invece di mostrare segno alcuno di dolore, giubilando dicevano che andavano a fare da angioli presso a Dio; tanto gli accecava il demonio impossessatosi di loro!"
      Se così altrove, pensa se a Roma: però, profondo conoscitore dell'uomo, il prete, considerando come la soverchia paura stupidisca, alternò il supplizio scenico con la strage segreta; così chiamato a Roma con salvocondotto Bartolomeo Fonzio veneziano, ad uso veneto cucito dentro ad un sacco annegarono nel Tevere. -
      Secondando lo impeto dell'avventata indole, Paolo IV aborrì come codardi i partiti discreti; si compiacque dello scandalo esclamando che la torcia doveva mettersi in cima al candeliere, non già tenersi riposta sotto lo staio; però di un tratto sostenne principi, principesse, preti, frati, vescovi, intere accademie e perfino alcuni giudici del tribunale del santo Uffizio: procedendo più oltre minacciò cernire il loglio dal grano anco nel sacro collegio, al quale effetto commise si ricercassero intorno alla fede i cardinali Polo e Morone, Foscarari vescovo di Modena, Luigi Priuli ed altri spettabili personaggi. Riarso dalla febbre della superstizione, per istinto feroce, inasprito dal contegno dei nepoti, ai quali troppo si commise e i quali troppo perseguitò, cotesto papa presso a tirare l'ultimo fiato non ebbe altro pensiero tranne quello di chiamarsi intorno al letto alcuni cardinali e raccomandare loro che per l'amore di Dio la Inquisizione nella sua interezza mantenessero; se non periva, egli avrebbe intorno a sè seminato il deserto: appena lo seppe morto, il popolo riduce in cenere il palazzo della Inquisizione, le sue statue rompe e scaraventa nel Tevere; furibondo adesso quanto prima fu vile.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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