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      Venezia servì da sbirro il papa; pure, sentisse rimorso o pudore, non volle consegnare il misero giovane al papa, lo condannò ella stessa cacciandolo in galera, donde pure ci ha redenzione. Ma siffatti empiastri non talentavano al papa, amico dei partiti netti, il quale focosamente instò presso il senato perchè glielo consegnasse: a sbramare la belva poteva dargli una carogna il senato, ma temè cimentarsi, però che cotesto maestrato ormai fosse destinato a scendere di viltà in viltà dentro il sepolcro; quindi glielo inviava vivo e incatenato a Roma, dove senza gingillare lo condannarono ad essere arso vivo: morì a trentaquattro anni con tali segni di grazia divina che i cardinali assistenti al supplizio per renderlo più solenne ne rimasero spaventati pur pensando al tardo ma inevitabile giudizio di Dio.
      Le spie stavano attaccate come l'ombra ai corpi dei sospetti, nè in casa solo, ma fuori; così a Francesco Gamba da Como, frequentando per suoi commerci Ginevra, essendo accaduto certa volta di celebrarvi la cena in compagnia dei suoi fratelli nel Signore, al suo ritorno fu preso e in meno che non si dice un Credo condannato alle fiamme; s'interpose l'ambasciatore imperiale, che a grande stento ottenne la esecuzione della sentenza per qualche giorno si differisse, e cotesta il misero ebbe a sperimentare importuna pietà, imperciocchè in quello intervallo di tempo i frati non facessero altro che tambussarlo con isciolemi e scede e di ogni maniera strazi, cui egli rispose mansueto sempre: anco i parenti e gli amici gli diedero molestia, pure tentando scrollare l'anima indomita con le considerazioni di affetti e d'interessi terreni.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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