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      E poi, secondo il costume di tutti i tempi, che i vili, a cui il bene materiato piace, sentono bisogno di tôrre ai magnanimi fino il compianto dei loro simili, il Serristori denigra presso Cosimo il Carnesecchi come uomo senza cervello che in mal tempo, invece di gittarsi giù di sfascio ai piedi del papa ed implorare mercede, aveva tolto a difendersi; insensato che si ostina a non ritrattarsi come tanti altri fanno: ma forse il cortigiano con siffatte parole perfidissime veniva piaggiando l'anima di Cosimo, la quale, lacerata dal rimorso, doveva trovare qualche sollievo al truce tradimento dandosi ad intendere che al postutto il Carnesecchi non era uomo che meritasse osservanza di fede.
      Anco lui con lusinghe e con terrori tentarono affinchè si ritrattasse: stette fermo, e ad una voce avversi e finti o timidi amici condannarono la sua caparbietà, la quale se non era, l'ottimo pontefice gli avrebbe fatto senz'altro la grazia. Qual mai grazia? Chiuso in perpetua prigione in mano a frati fanatici, ovvero dentro una celletta murato; chè il carcere solitario, privo di ogni consolazione, pieno di ogni angoscia mortale, immaginarono i preti nello inferno dei loro pensieri prima che scendesse nel cervello dei moderni(46) filosofi.
      E poi ormai nel Carnesecchi, venute meno le cause del vivere, era surta la voluttà della morte: chiunque per cause più o meno lodevoli e sovente contennende si sente attaccato alla vita questo non pensa o non crede, ma pur troppo si danno casi pei quali all'uomo la vita diventa supplizio, refrigerio la morte.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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