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      A Francolino? disse Bati, e che andremo noi a pescare fino costassù? - Ci si lavorano sete, e ti so dire delle buone; il mio cognato non può allontanarsi dal fondaco; e siccome facciamo a mezzo, vado per lui a vedere se ci sia verso d'incettare i bozzoli.
      E via a Francolino: arrivano, smontano allo albergo, dove Francesco lascia Bati e se ne va fuori in traccia, com'ei diceva, di setaioli e marruffini; nè stette molto che, tornato a casa tutto cruccioso, imprecava la sua mala ventura, la quale non gli faceva trovare le persone desiderate da lui, come quelle che si erano condotte al mercato di Venezia, conchiudendo così: "Ormai che mi trovo dentro, non mi fie grave di spingermi fin là al ballo; che ne di' Bati? Già come si va a Roma per Ravenna, così si può arrivare a Lucca per Venezia; andiamo pure."
      Montati in barca, vogando di lena il martedì dopo Pasqua scesero a Chioggia, dove Francesco, senza perdere tempo, noleggiata una gondola, saltò in quella ordinando: "A Venezia, e di voga arrancata, chè non mancherà la mancia." E a Bati che del pari stava per buttarsi giù disse: "No, tu statti e vientene a bell'agio su qualche barca di pescatori. - Ma dove vi troverò io? - Va franco, io farò in modo di trovare te; non dubitare." E sì dicendo si partì da lui. Adoperando in questa guisa parmi manifesto che il Burlamacchi studiasse di tenere celate le sue pratiche al famiglio, onde non mettere, in caso di sinistro, a repentaglio tanti Lucchesi co' quali aveva a conferire, per avventura noti al Bati; ed in fatti, quando le cose volsero al peggio, egli non ressa alla paura della corda, però, interrogato appena, svesciava quanto aveva in corpo forse con qualche giunterella di suo, sicchè ne andavano a cagione delle sue accuse per le rotte, oltre a Bastiano Carletti, Giuliano Marescalco e ser Nicolò Vanni; degli altri non seppe indicare il nome, nonostante, avvertendo essere di quelli che, sotto colore di pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto, si era spinto fino a Venezia.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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