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      Francesco Burlamacchi e il priore Lione Strozzi in luogo appartato incontraronsi per concertarsi sul modo di mandare a compimento il disegno dal primo proposto al secondo. Era il Burlamacchi di membra ottimamente formato, ma scarso anzichè no, tuttavolta destro e pazientissimo alla fatica; sbarbato, rasi i capelli, nelle vesti semplice; arguto nel volto, arguto nel dire, parlava lento, preciso come uomo che dimostri un teorema di matematica; l'altro all'opposto, di lato petto e di potenti spalle, barbuto e chiomato; nella faccia, pel collo e per le mani di quel colore di rame che il sole ardente e l'esalazioni saline partecipano ai marinari; breve il dire e concitato come uomo assueto al comando; facile alla ira, gagliardo sì ma soverchio nelle manifestazioni della sua gagliardia: insomma il primo dava più che non prometteva, alla rovescia il secondo; perchè quanto si sparnazza nella esagerazione si sottrae alla sostanza delle cose.
      Pertanto il Burlamacchi gli espose il suo concetto essere liberare la Italia da' suoi trenta tiranni e dal tiranno peggiore di tutti gli altri posti in mazzo, il papa; non mica in odio al cattolicesimo da lui aborrito, ma che per ciò non intendeva perseguitare, vincendosi la coscienza degli uomini per via di persuasione, non già con la soperchieria. In lui agitarsi unico il senso di carità patria; mentre due erano certo i furori che spingevano l'animo del prode priore, amor di patria e il grido del sangue paterno tuttavia invendicato. Sopra una cosa però bisognava andar chiari, la quale consisteva in questo, che egli non avrebbe dato nè ricevuto aiuto per istituire una monarchia; l'Italia nata per le repubbliche, vuoi democratiche, vuoi oligarchiche o vuoi aristocratiche, difettose tutte, non però quanto la monarchia, e quelle per vizio di uomini piuttostochè per vizio d'instituto, questa per vizio d'instituto anzichè di uomo, essendo cosa veramente lesiva alla dignità della cittadinanza consegnare cuore e cervello in mano ad una dinastia di padre in figlio per omnia sæcula sæculorum amen, nel concetto che se uno è buono, l'altro a prova sarà trovato meglio: chè se la monarchia vorrai ridurre a temperata, ella si assottiglierà a giungere per via di corruzione là dove trova ostacolo per arrivare con la violenza, ed è peggio perchè questa ti cresce l'odio e coll'odio ti mantiene la facoltà di possibile vendetta, mentre quella ti castra come un pecoro, che lecca la mano a cui gli taglia la gola; onde delle due tirannidi, cioè la netta e l'annacquata, la rigida e la mansueta, scegli quella tutta di un pezzo; imperciocchè nelle tirannidi violenta, spento il tiranno, le più volte ti rivendichi in libertà, nelle astute, se ammazzi il tiranno, sopravvive la servitù. Repugnare poi alla composizione di una sola e grande repubblica in Italia come quella che, divisa e durata per secoli con istituti, voglie, intenti, commerci, in fine con tutto quanto forma la trama del vivere civile se non contrario, almeno diversissimo, non si sarebbe potuto ordinare in modo uniforme: secondo lui, avrebbe dovuto costituirsi in federazione di repubbliche, debole stato in vero, di faccia ai potentissimi che si erano formati o stavano per formarsi a canto alla Italia, dove non si fosse rinvenuto un ordine di governo il quale, lasciando alle singole repubbliche facoltà e modo di reggersi liberissime su certi conti, per altri poi le stringesse in vincolo siffattamente poderoso che dentro paressero molte e fuori una sola; nè lo ingegno italiano comparire fin lì impoverito tanto da non sapere immaginare di simili arti di stato.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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