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      ma dentro tremava(58).
      E pur fingendo di tenere la cosa per inveceria, si buttò giù da letto, e vestitosi in meno che non si dice un Credo, ragunò i suoi segretari, i capi dell'arme e i cittadini complici col principato per avvisare insieme intorno ai provvedimenti da pigliarsi in così momentoso accidente. Al Pessini fu intanto ordinato di non partirsi da Firenze, allogandogli stanza in apparenza onorata, in vero prigione; e così rimase finchè non fu chiarito il caso: allora il duca gli diede ufficio in corte e stipendio a bastanza largo. Cotesto pane d'infamia ed intriso di sangue avrebbe dovuto bruciargli le viscere; a lui non bruciò nulla: bevve e morì; questo il suo epitafio sopra la tomba: la fortuna in ciò gli fu cortese che lo spense quando rilassato non poteva più bere nè satisfare alle parti turpissime del corpo: la coscienza in lui non visse o, se pur visse, era morta prima di lui: che fosse fama non seppe mai, e se lo avesse saputo, non correvano tempi che avesse valore: preti e Spagnuoli e tiranni domestici; gara di titoli e di servitù; il valore ristretto nel braccio del sicario, chiesa e bordello, empio tutto, e più di tutto la religione; rei gli amori, rei gli affetti; in mezzo a questi elementi di vita civile a che pro la fama?
      Taluno dei cronisti racconta come il Pessini, dopo consumato il tradimento a Firenze, tornasse a Lucca, dove, rimorso dalla coscienza, tirato da parte il Benedini, lo ammonisse di quello che aveva fatto raccomandandosi a mettersi in salvo.


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Vita di Francesco Burlamacchi
di Francesco Domenico Guerrazzi
Casa Editrice Italiana Milano
1868 pagine 355

   





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