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      Il settecento, il secolo dell'Arcadia inzuccherata, ci dà il Vittorelli che canta Maria come l'Irene delle sue anacreontiche, vale a dire con un sensualismo incipriato, mezzo mondano e mezzo biblico. E queste due quartine di un sonetto a Maria, ricordano, dice il Carducci, una madonna della pittura veneziana in una chiesa del Sacro Cuore:
      Io t'amo; e il giuro per que' tuoi sì begliDi tortora idumea purissim'occhi,
      I quai mi stanno innanzi, o che si svegli,
      O che nell'onda esperia il sol trabocchi.
      Oh, fossi un angiol tuo! fossi un di quegliChe coll'ondoso manto inombri e tocchi,
      O destini a velare i tuoi capegliLucidi più che della lana i fiocchi!
      Ma se costui mette un po' di sensualismo gesuitico nella dolce Maria di Dante, pure in questi versi c'è del calore. Ma chi sa dire che cosa ci sia in questo sonetto dello Zappi?
      Io veggio entro una bassa e vil capannaUn pargoletto che pur dianzi è nato,
      Fra i rigor d'aspro verno abbandonato,
      Su paglia, fieno e foglie d'alga e canna.
      Veggio la cara madre che s'affannaPerchè sel vede in sì povero stato...
      Misero! Ei sta di due giumenti al fiato.
      Misero! Ah, questo è Dio, nè il cor mi inganna!
      Quel Dio che regge il Ciel, regge gli orrendiAbissi, e fa su noi nascer l'aurora,
      E il lampo, e i tuoni, e i fulmini tremendi.
      Ma un Dio se stesso in sì vil foggia onora?
      Vieni, o superbo, e l'umiltade apprendiDa quel maestro che non parla ancora!
      Carini quei loro smascolinati sonettini, pargoletti piccinini, mollemente femminini, tutti pieni d'amorini, disse il Baretti!


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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