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      Melanconica fine dell'aquilotto imperiale spentosi tristamente nella ferrea gabbia, quando tante speranze gli sorridevano!
      Poichè Enzo, se non aveva mai visto il suo regno di Sardegna, aveva già guidato gli eserciti dell'Impero alla vittoria. Era corso fino alle porte di Roma, minacciando papa Gregorio che lo aveva scomunicato e, comandando la flotta, sconfiggeva i Genovesi alla Meloria, dove poi doveva cadere per sempre la potenza di Pisa. Tante promesse dalla fortuna dovevano seppellirsi in una oscura prigione, mentre a chi sa quali altezze si sarebbe levato questo giovane che, quasi adolescente, vinceva le battaglie! E se egli fosse stato a Benevento, in luogo del quasi saracino Manfredi, chi può dire se la storia d'Italia sarebbe stata quella che fu?
      Negli ozi del carcere il prigioniero poetava.
      Ingegnoso e colto, come furon quasi tutti i rampolli di questa razza di Svevi mal trapiantata in Italia, alcuni dei suoi versi ci rimangono, nè migliori nè peggiori di quelli che in quel tempo rimava la scuola siciliana.
      In un sol luogo, fra tanti lamenti di un amore retorico, si ascolta quasi un rimpianto della libertà perduta:
      Va, canzonetta miaE saluta Messere.
      Dilli lo mal ch'io aggio.
      Quegli che m'ha in balìaSì distretto mi tiene
      Ch'io viver non potraggio.
      Salutami Toscana
      Quella ched'è sovranaIn cui regna tutta cortesia:
      E vanne in Puglia piana,
      Lamagna, Capitana,
      Là dove lo mio core è notte e dia!
      E così poetando dolorosamente, meditando forse con amarezza il verso in cui diceva "Tempo viene chi sale e chi discende", morì prima di toccare i quarant'anni e dopo aver visto la rovina della sua famiglia.


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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