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      Prescrisse egli i confini della causa e tracciò i limiti più stretti alla discussione. Nessuna ricerca di discriminanti o di attenuanti, nessuno studio, nessuna allusione alle origini, alle cagioni politiche, municipali, confessionali, di parte, di ambiente, di intenzione, nella lotta tra il Vescovo grande e il giornale, piccino. Volle, com'egli disse, costringere il dibattito entro i cancelli della causa, cioè fermarsi alle sole e nude parole incriminate senza cercarne la giustificazione, vietando così non solo la prova, non solo la comparizione del Vescovo che era di legge, ma la difesa stessa; poichè s'interdice ogni mezzo di difesa a cui si toglie di provare la propria innocenza. E quell'aspra requisitoria per la sacra immunità e l'inviolabilità quasi regia del Vescovo, quella voce irritata, quella frase tagliente, quella intransigenza convinta, ricordavano più il fanatismo spagnuolo che la serenità italiana. Un avvocato ne lo rimproverò apertamente. Negò, ma la negazione cadde nel silenzio. Tutti avevano inteso le parole e l'animo.
      E pensavamo: Dice la giurisprudenza che il concedere la facoltà delle prove è un diritto cui il querelante può rinunciare e rinuncia; ma i galantuomini dicono che conceder la facoltà della prova è un dovere per chi rispetta se stesso e non ha paura della verità; tanto è vero che la legge obbliga il pubblico funzionario a conceder le prove appunto perchè deve esser rispettabile, rispettato e non pauroso di verità e di luce. Il Vescovo non è obbligato a questo perchè non è pubblico funzionario?


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





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