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      «Accetto per mio il sonetto incriminato e le responsabilità che ne possono derivare. Non sono di quelli che vibrano il colpo e nascondono la mano sotto una toga restando a casa e negando le prove.... Ma le vie coperte, le comode ambagi del diritto, il prudente nascondiglio di dove si può offendere senza essere offesi, non sono per me, nè per i galantuomini che rispondono apertamente del fatto loro. Me, me adsum qui feci!»
      Che cosa significano queste parole? Che io rispondevo del fatto mio, come sogliono i galantuomini. Che non mi nascondevo e lo avrei potuto. Che se avessi offeso (e lo si nega per quanto è lungo l'opuscolo!) non avrei nascosto la mano sotto una toga. Il senso ovvio del brano è un rimprovero all'avversario che vibra il colpo, nasconde la mano, sta a casa e nega le prove, mentre io, come debbono i galantuomini, mi dichiaro pronto a pagar di persona, sdegnando di appiattarmi in sagrato, offrendomi sicuro ai Giudici e al giudizio. Chi è accusato qui di vibrare il colpo e di nasconder la mano è il Vescovo e non altri. Ma che fa qui la sentenza? Stacca prima un periodo dal contesto «Non sono di quelli che vibrano il colpo e nascondono la mano» e prosegue:
      «Se infine con quel sonetto egli sapeva di menare un colpo, può con serietà sostenersi che non intendesse di fare personalità, ma semplicemente correggere un vizio, stimmatizzare un principio nel solo interesse sociale?!»
      Ma può con serietà sostenersi che una figura retorica equivalga ad una esplicita confessione della intenzione di offendere?


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Brani di vita
di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)
Zanichelli Bologna
1908 pagine 487

   





Giudici Vescovo