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      Non si diranno, no, queste cose, perché le si dicono a padri non a giudici, ma si dirà: che fa egli? E' vive privatamente, non si sa sua pratica alcuna, non si vede alcuno suo andamento che meritamente lo faccia sospetto; sta basso ed abietto quanto sia possìbile: perché vogliamo noi credere el male dove facilmente potrebbe essere el bene? Ha travagliato tanto, ha corso tanti pericoli, che non è maraviglia che ora ami la qiete, la sicurtà, che voglia godersi quello che con tanta fatica ha acquistato; non si dovere sanza grandissime cagione volere fuora uno per inimico, chi si possa avere drento per amico; che se co' sospetti soli si condanna lui, el medesimo temeranno tanti altri che erano amici de' Medici; dispererassi tanta nobilità, e questo stato che noi possiamo tenere con la benevolenzia, cerchereno di metterlo in pericolo con lo odio.
      Dirannosi queste cose e molte altre, come è communemente più ingegnoso chi difende el male che chi favorisce el bene; le quali ragione quando si allegheranno, giudici, in superficie belle, piacevole, dolce, utili e sicure, ma in effetto brutte, amare, insidiose, pericolose e velenose, è uficio vostro ricordarvi e tenere sempre fisso nella memoria, che messer Francesco è beneficato eccessivamente da' Medici, che è stato sempre instrumento e ministro loro, che è malissimo contento, che desidera che tornino, perché è ambizioso, perché ha perduto della ruina loro grandissimi onori ed utili, e spera recuperarli della esaltazione; che è impossibile che si accommodi alla vita privata, a essere equale a quelli a chi soleva essere superiore; che ha offeso tanto el publico, massime nel cavarci del nostro Palazzo, nel tôrci la libertà recuperata, che o dubita continuamente della pena, o dispera di avere mai nel vivere libero autorità; che e' pensieri, e' disegni, le azione, le opere sue sono sempre state di sorte che non ci può essere scusa, non colore, non dubio alcuno che e' sia per procurare sempre opportunamente ed importunamente di tôrvi la vostra libertà, la quale lui reputa sua pena, sua infamia e sua servitù.


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Consolatoria, Accusatoria, Defensoria
di Francesco Guicciardini
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