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      Fanno bene queste ragione che lui desideri piú la amicizia nostra, che quella del re di Francia, ma, escluso dalla nostra, bisogna si volti a quella.
      Dal canto del re di Francia ci sono piú difficultá, ma non sono a giudicio mio tale che abbiamo a viverne sicuri, e le cagione possono essere dua: el sospetto e la ambizione, delle quali ciascuna per sé suole fare movimenti molto maggiori. Lui sa la instanzia che el re de' romani ci fa, ed ancora che lui ed ognuno abbia sempre veduto grandissime esperienzie della fede di questa republica, pure, misurando noi dalla natura sua, può dubitare che per cupiditá di accrescere lo stato nostro o per sospetto di non essere prevenuti, non prevegnamo. Ed ha causa di credere che noi abbiamo questo sospetto, perché sa che ci sono note le pratiche che ha tenuto coi re de' romani contro a noi, nonostante le capitulazioni che abbiamo insieme. Può ancora temere che la ambizione ci muova, perché sa esserci offerti partiti grandissimi, e che noi siamo uomini desiderosi, come sono tutti gli altri, di accrescere dominio; né ci è mezzo a assicurarlo da questo timore, perché voi sapete quanto gli stati sono sospettosi naturalmente, e quanta poca confidenzia è tra l'uno principato e l'altro. E tanto piú che faccendosi questa instanzia dal re de' romani sotto titulo di rimettere nello stato di Milano Massimiano Sforza, può credere che noi desideriamo piú per vicino uno signore debole che uno re sí potente, e che per questa ragione sola, quando cessassino tutte le altre, noi ci moviamo a aiutare una impresa, lo effetto della quale, quando riuscissi, sarebbe la sicurtá totale dello stato nostro.


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Discorsi politici
di Francesco Guicciardini
pagine 167

   





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