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      Potriansi riferire molte altre particularitá, ma tutte tendono a questo, che per la ambizione ordinaria degli uomini, per quelli fini che communemente hanno avuto gli imperadori, per le diffidenzie nate tra loro e per moltissimi segni, el papa aveva grandissima causa di temere la grandezza di Cesare, al quale lui per sé solo non poteva resistere.
      In questo stato delle cose sopravenne la certezza che el re di Francia, giá ritornato nel regno suo, era parato collegarsi col papa e co' viniziani, ed in compagnia loro soccorrere el duca di Milano; a che el re d'Inghilterra confortava molto el papa, promettendo ancora lui di accostarsi alla lega, e' viniziani ardentemente lo stimolavano. Che aveva adunche a fare el papa, presupposto che le forze di tanti principi collegati fussino tali da potere sperare la vittoria? Aveva egli a volere piú presto che in potestá di Cesare fussi sottoporre Italia, deprimere la persona sua o la autoritá della Sedia apostolica, che mettersi a fare pruova di conservare la libertá della Chiesa e di tutti, e riducere le cose in termine che gli stati di ciascuno fussino sicuri? Certo non poteva dire questo, se non chi avessi portato sicurtá da Cesare, che lui, contento al suo, non fussi per turbare la quiete degli altri, o chi fussi di opinione che a uno pontefice romano, essendo vicario di Dio in terra ed avendo per principale obietto la salute delle anime, si appartenessi piú presto lasciare ogni cosa in preda che implicarsi in guerre.
      Delle quali ragione nessuna è vera, perché la sicurtá che Cesare non avessi a travagliare gli stati di alcuno, si poteva piú presto sperare che affermare, non potendo alcuno prudente promettere quello che depende da altri.


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Discorsi politici
di Francesco Guicciardini
pagine 167

   





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