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      Dove don Federigo, avuta notizia l'armata franzese, inferiore alla sua di galee ma superiore di navi, prepararsi per uscire del porto di Genova, rimandò a Napoli le navi sue, per potere con la celerità delle galee piú espeditamente dagl'inimici discostarsi, quando unite le navi e le galee andassino ad assaltarlo; restandogli nondimeno la speranza di opprimergli se le galee dalle navi, o per caso o per volontà, si separassino.
      Camminava in questo tempo medesimo con l'esercito terrestre il duca di Calavria verso Romagna, con intenzione di passare poi, secondo le prime deliberazioni, in Lombardia; ma per avere il transito libero né lasciarsi impedimenti alle spalle, era necessario congiugnersi lo stato di Bologna e le città d'Imola e di Furlí; perché Cesena, città suddita immediatamente al pontefice, e la città di Faenza suddita a Astore de' Manfredi, piccolo fanciullo, soldato e che si reggeva sotto la protezione de' fiorentini, erano per dare spontaneamente tutte le comodità all'esercito aragonese. Dominava Furlí e Imola, con titolo di vicario della Chiesa, Ottaviano figliuolo di Ieronimo da Riario, ma sotto la tutela e il governo di Caterina Sforza sua madre: con la quale avevano trattato, già piú mesi, il pontefice e Alfonso di condurre Ottaviano a' soldi comuni, con obligazione che comprendesse gli stati suoi; ma restava la cosa imperfetta, parte per difficoltà interposte da lei per ottenere migliori condizioni, parte perché i fiorentini, persistendo nella prima deliberazione di non eccedere contro al re di Francia le obligazioni le quali avevano con Alfonso, non si risolvevano di concorrere a questa condotta, alla quale era necessario il consenso loro, perché il pontefice e il re ricusavano di sostenere soli questa spesa, e molto piú perché Caterina negava di mettere in pericolo quelle città se insieme con gli altri i fiorentini alla difesa degli stati del figliuolo non si obligavano.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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