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      Già Civitavecchia, Corneto e finalmente quasi tutto il territorio di Roma era ridotto alla divozione franzese; già tutta la corte, già tutto il popolo romano, in grandissima sollevazione e terrore, chiamavano ardentemente la concordia: però il pontefice, ridotto in pericolosissimo frangente e vedendo mancare continuamente i fondamenti del difendersi, non si riteneva per altro che per la memoria di essere stato de' primi a incitare il re alle cose di Napoli, e dipoi, senza essergliene stata data cagione alcuna, avere con l'autorità co' consigli e con l'armi fattagli pertinace resistenza; onde meritamente dubitava dovere essere del medesimo valore la fede che e' ricevesse dal re che quella che il re aveva ricevuta da lui. Accresceva il terrore il vedergli appresso con autorità non piccola il cardinale di San Piero in Vincola e molti altri cardinali inimici suoi; per le persuasioni de' quali, per il nome cristianissimo de' re di Francia, per la fama inveterata della religione di quella nazione, e per l'espettazione, che è sempre maggiore, di quegli che sono noti per nome solo, temeva che 'l re non voltasse l'animo a riformare, come già cominciava a divulgarsi, le cose della Chiesa: pensiero a lui sopra modo terribile, che si ricordava con quanta infamia fusse asceso al pontificato, e averlo continuamente amministrato con costumi e con arti non disformi da principio tanto brutto. Alleggerissi questo sospetto per la diligenza e efficaci promesse del re, il quale desiderando sopra ogni cosa accelerare l'andata sua al regno di Napoli, e però non pretermettendo opera alcuna per rimuoversi l'impedimento del pontefice, gli mandò di nuovo imbasciadori il siniscalco di Belcari, il marisciallo di Gies e il medesimo presidente di Gannai: i quali, sforzandosi di persuadergli non essere l'intenzione del re di mescolarsi in quello che apparteneva all'autorità pontificale né domandargli se non quanto fusse necessario alla sicurtà del passare innanzi, feciono instanza che e' consentisse al re l'entrare in Roma; affermando questo essere sommamente desiderato da lui, non perché e' non fusse in sua potestà l'entrarvi con l'armi ma per non essere necessitato di mancare a lui di quella riverenza la quale avevano a' pontefici romani portata sempre i suoi maggiori; e che, subito che il re fusse entrato in Roma, le differenze state tra loro si convertirebbono in sincerissima benivolenza e congiunzione.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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