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      Senza che, la persuasione immoderata che ciascuno arà di se medesimo gli desterà tutti alla cupidità degli onori, né basterà agli uomini nel governo popolare godere i frutti onesti della libertà, ché aspireranno tutti a gradi principali, e a intervenire nelle deliberazioni delle cose piú importanti e piú difficili; perché in noi manco che in alcuna altra città regna la modestia del cedere a chi piú sa, a chi piú merita. Ma persuadendoci che di ragione tutti, in tutte le cose, dobbiamo essere eguali, si confonderanno, quando sarà in facoltà della moltitudine, i luoghi della virtú e del valore; e questa cupidità distesa nella maggiore parte farà potere piú quegli che manco sapranno o manco meriteranno, perché essendo molto piú numero aranno piú possanza, in uno stato ordinato in modo che i pareri s'annoverino non si pesino. Donde che certezza arete voi che, contenti della forma la quale introdurrete al presente, non disordinino presto i modi, prudentemente pensati, con nuove invenzioni e con leggi imprudenti? alle quali gli uomini savi non potranno resistere. E queste cose sono in ogni tempo pericolose in un governo tale, ma saranno molto piú ora, perché è natura degli uomini, quando si partono da uno estremo nel quale sono stati tenuti violentemente, correre volonterosamente, senza fermarsi nel mezzo, all'altro estremo. Cosí chi esce da una tirannide, se non è ritenuto, si precipita a una sfrenata licenza; la quale anche si può giustamente chiamare tirannide, perché e un popolo è simile a un tiranno quando dà a chi non merita, quando toglie a chi merita, quando confonde i gradi e le distinzioni delle persone; ed è forse tanto piú pestifera la sua tirannide quanto è piú pericolosa l'ignoranza, perché non ha né peso né misura né legge che la malignità, che pure si regge con qualche regola con qualche freno con qualche termine.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094