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      Ma l'ambizione, la quale non permesse che alcuno di loro stesse contento a' termini debiti, fu cagione di rimettere presto Italia in nuove turbazioni, e che non si godesse il frutto della vittoria che ebbono poi contro all'esercito franzese, che era rimasto nel regno di Napoli; la quale vittoria la negligenza e i consigli imprudenti del re lasciorono loro facilmente conseguire, essendo il soccorso disegnato da lui, quando si partí d'Italia, restato vano, perché né le provisioni dell'armata né gli aiuti promessi da' fiorentini ebbono effetto.
      Non era Lodovico Sforza condisceso con sincera fede alla pace con Carlo, perché ricordandosi, come è natura di chi offende, delle ingiurie che gli avea fatte si persuadeva non potere piú sicuramente commettersi alla sua fede, ma il desiderio di ricuperare Novara e di liberare dalla guerra lo stato proprio l'avevano indotto a promettere quello che non aveva in animo di osservare. Né si dubitò che alla pace fatta con questa simulazione fusse intervenuto il consentimento del senato viniziano, desideroso d'alleggerirsi senza infamia sua della spesa smisurata la quale per la loro republica si sosteneva intorno a Novara. E nondimeno Lodovico, per non si partire subito cosí impudentemente, ma con qualche colore, dalla capitolazione, adempié quello che e' non poteva negare che fusse in arbitrio suo: dette gli statichi, fece liberare i prigioni pagando del suo proprio le taglie loro, restituí i legni presi a Rapalle, rimosse di Pisa il Fracassa, il quale non poteva dissimulare che fusse stipendiario suo; e infra 'l mese convenuto ne' capitoli, consegnò il castelletto di Genova al duca di Ferrara, che andò in persona a riceverlo.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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