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      Queste e simili ragioni erano, oltre alla cupidità del numero maggiore, superate ancora dalle persuasioni di Agostino Barbarico doge di quella città, la cui autorità era divenuta sí grande che, eccedendo la riverenza de' dogi passati, meritava piú tosto nome di potenza che di autorità; perché, oltre all'essere stato con felici successi in quella degnità molti anni e l'avere molte preclare doti e ornamenti, aveva, procedendo artificiosamente, conseguito che molti senatori che volentieri si opponevano a quegli che, per la fama d'essere prudenti per la lunga esperienza e per l'avere ottenute le degnità supreme, erano nella republica di maggiore estimazione, congiuntisi a lui, seguitavano comunemente, piú tosto a uso di setta che con gravità o integrità senatoria, i suoi consigli. Il quale, cupidissimo di lasciare, con l'ampliazione dello imperio, chiarissima la memoria del suo nome, né terminando l'appetito della gloria l'essersi sotto il suo principato l'isola di Cipri, mancati i re della famiglia Lusignana, aggiunta al dominio viniziano, era molto inclinato che si accettasse qualunque occasione di accrescere il loro stato. Però, opponendosi a coloro che nella causa pisana consigliavano il contrario, dimostrava con efficacissime parole quanto fusse utile e opportuno a quel senato l'acquistare Pisa, e quanto importante il reprimere con questo mezzo l'audacia de' fiorentini; per opera de' quali aveano, nella morte di Filippo Maria Visconte, perduta l'occasione di insignorirsi del ducato di Milano, e che per la prontezza de' danari avevano, nella guerra di Ferrara e nelle altre imprese, nociuto piú loro che alcun altro de' potentati maggiori.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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