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      Ricordava quanto rare fussino sí belle occasioni, con quanta infamia si perdessino, e quanto pungenti stimoli di penitenza seguitassino chi non l'abbracciava: non essere le condizioni d'Italia tali che gli altri potentati potessino per se stessi opporsegli; e manco essere da temere che per questa o indegnazione o timore ricorressino al re di Francia, perché né il duca di Milano che l'aveva tanto ingiuriato ardirebbe mai di confidarsene, né muovere l'animo del pontefice questi pensieri, né potere piú il re di Napoli, quando bene avesse ricuperato il regno suo, udire il nome franzese. Né l'entrare loro in Pisa, benché molesto agli altri, essere accidente sí impetuoso, né tanto propinquo il pericolo, che per questo s'avessino gli altri potentati a precipitare a' rimedi che s'usano nell'ultime disperazioni; perché nelle infermità lente non si accelerano le medicine pericolose, pensando gli uomini non dovere mancare tempo a usarle: e se in questa debolezza e disunione degli altri d'Italia essi per timidità rifiutassino tanta occasione, aspettarsi vanamente di poterlo fare con maggiore sicurtà quando gli altri potentati fussino ritornati nel pristino vigore e assicurati dal timore degli oltramontani. Doversi, per rimedio del troppo timore, considerare che l'azioni mondane erano sottoposte tutte a molti pericoli, ma conoscere gli uomini savi che non sempre viene innanzi tutto quello di male che può accadere, perché, per beneficio o della fortuna o del caso, molti pericoli diventano vani, molti sfuggirsene con la prudenza e con la industria; e perciò non doversi confondere, come molti poco consideratori della proprietà de' nomi e della sostanza delle cose affermano, la timidità con la prudenza, né riputare savi coloro che, presupponendo per certi tutti i pericoli che sono dubbi e però temendo di tutti, regolano, come se tutti avessino certamente a succedere, le loro deliberazioni.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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