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      La quale dichiarazione non fu procurata perché i viniziani desiderassino che la fusse osservata ma per raffreddare l'ardore degli oratori pisani, e per giustificarsi nel consiglio de' pregati che se non si era ottenuta la libertà de' pisani si era almanco proveduto tanto alla sicurtà e bene essere loro che non si potrebbe dire fussino dati in preda o abbandonati. Nel quale consiglio, dopo molte dispute, prevalendo pure la considerazione delle condizioni de' tempi e delle difficoltà del sostenere i pisani, e sopratutto il timore dell'armi del turco, fu deliberato che il lodo con espresso consentimento non si ratificasse ma, quel che è piú efficace in tutte le cose, si mettesse a esecuzione co' fatti, levando fra gli otto dí l'offese e rimovendo le genti di Toscana al tempo determinato, con intenzione di piú non intromettersene: piú tosto, per sospetto che Pisa non cadesse in potestà del duca di Milano, cominciavano molti del senato a desiderare che la ricuperassino i fiorentini.
      Né in Firenze, inteso che fu il tenore del lodo dato, si dimostrò minore movimento di animi; aggravandosi di avere a rifare parte delle spese a chi gli aveva ingiustamente molestati, e molto piú non parendo loro conseguire altro che il nome nudo del dominio, poiché le fortezze avevano a essere guardate per i pisani e che l'amministrazione della giustizia criminale, uno de' membri principali alla conservazione degli stati, non aveva a essere libera de' loro magistrati: nondimeno, sforzandogli a ratificare i medesimi protesti del duca di Milano che gli avevano indotti a compromettere, e sperando di avere in progresso di breve tempo, con la industria e con l'usare umanità a' pisani, a ridurre le cose a migliore forma, ratificorno espressamente il lodo dato; ma non l'addizioni, non ancora pervenute a notizia loro.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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