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      di Francia speravano essere, con l'autorità sua, liberati da questa molestia. La quale speranza non riuscí vana, perché al re era stato grato che il Valentino gli minacciasse ma non che gli assaltasse; e o gli sarebbe stata molesta la mutazione del governo presente o, se pure avesse desiderata altra forma di reggimento in Firenze, gli sarebbe dispiaciuto fusse stato introdotto con altre forze o con altra autorità che con la sua: e però, come gli pervenne la notizia che 'l Valentino era entrato nel dominio fiorentino, gli comandò che ne uscisse subitamente, e a Obigní, che era già in Lombardia con l'esercito, che, in caso non ubbidisse, andasse con tutte le forze a farlo partire. Per il che Valentino, non avuto il quartiere, si dirizzò verso Piombino; e ordinò che i pisani, i quali per opera di Vitellozzo, mandato a Pisa da lui per condurre allo esercito artiglierie, erano andati a campo alle Ripomarancie castello de' fiorentini, se ne levassino. Entrato nel territorio di Piombino, prese Sughereto, Scarlino e l'isole dell'Elba e di Pianosa; e lasciate ne' luoghi occupati genti sufficienti a difenderli e a molestare continuamente Piombino, se ne andò con l'altre in terra di Roma, per seguitare all'impresa di Napoli l'esercito del re: del quale una parte condotta da Obigní era per la via di Castrocaro entrata in Toscana, l'altra per la Lunigiana; contenendo tutto l'esercito, quando era unito, mille lancie quattromila svizzeri e seimila altri tra fanti franzesi e guasconi, e, secondo il solito loro, provisione grande d'artiglierie.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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