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      Politica di accordi del pontefice con la Francia e sua avversione al re ed al cardinale di Roano.
     
      Queste cose erano succedute l'anno mille cinquecento cinque; il quale benché avesse lasciato speranza che la pace d'Italia, dappoi che erano estinte le guerre nate per cagione del regno di Napoli, s'avesse a continuare, nondimeno apparivano da altra parte semi non piccoli di futuri incendi. Perché Filippo, che già si intitolava re di Castiglia, non contento che quel regno fusse governato dal suocero, incitato da molti baroni, si preparava a passare contro alla volontà del suocero in Ispagna; pretendendo, come era verissimo, non essere stato in potestà della reina morta prescrivere leggi al governo del regno finita la sua vita: e il re de' romani, preso animo dalla grandezza del figliuolo, trattava di passare in Italia. E il re di Francia, se bene l'anno precedente si fusse sdegnato col pontefice, perché avea senza sua partecipazione conferiti i benefici vacati per la morte del cardinale Ascanio e d'altri nel ducato di Milano e perché, avendo creato molti cardinali, avesse recusato di creare insieme con gli altri il vescovo di Aus nipote del cardinale di Roano e il vescovo di Baiosa nipote del la Tramoglia, dimandati da lui con somma instanza (e perciò avea fatto sequestrare i frutti de' benefici i quali il cardinale di San Piero a Vincola e altri prelati grati al pontefice possedevano nello stato di Milano), nondimeno, avendo da altra parte cominciato a temere di Cesare e del figliuolo e perciò, desideroso della amicizia del pontefice, rimessi i sequestri fatti, mandò nel principio di questo anno il vescovo di Sisteron, nunzio apostolico appresso a sé, a proporgli vari disegni e fare varie offerte contro a' viniziani; contro a' quali sapeva perseverare la sua pessima intenzione per il desiderio di recuperare le terre di Romagna, con tutto che insino a quel dí fusse proceduto in tutte le cose con tanta quiete che aveva suscitato negli uomini ammirazione non mediocre che colui il quale, quando era cardinale, era sempre stato pieno di pensieri vasti e smisurati, e che a tempo di Sisto e di Innocenzio e poi di Alessandro pontefici era stato molte volte instrumento di turbare Italia, avesse ora, promosso al pontificato, sedia comunemente della ambizione e delle azioni inquiete, deposto quegli spiriti sí ardenti, e dimenticatosi della grandezza dell'animo della quale aveva sempre fatto ambiziosa professione, non facesse, non che altro, segno di risentirsi delle ingiurie e di essere simile a se medesimo.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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