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      Nel qual modo procedendo, e avanzando continuamente di cammino l'esercito viniziano, si appropinquorno molto in un tempo medesimo l'avanguardia franzese governata da Carlo d'Ambuosa e da Gianiacopo da Triulzi, nella quale erano cinquecento lancie e i fanti svizzeri, e il retroguardo de' viniziani guidato da Bartolomeo d'Alviano, nel quale erano [ottocento] uomini d'arme e quasi tutto il fiore de' fanti dello esercito, ma che non procedeva molto ordinato non pensando l'Alviano che quel dí si dovesse combattere. Ma come vedde essersi tanto approssimato agli inimici, o svegliatasi in lui la solita caldezza o vedendosi ridotto in luogo che era necessario fare la giornata, significata subitamente al conte di Pitigliano, che andava innanzi con l'altra parte dell'esercito, la sua o necessità o deliberazione, lo ricercò che venisse a soccorrerlo: alla qual cosa il conte rispose che attendesse a camminare, che fuggisse il combattere, perché cosí ricercavano le ragioni della guerra e perché tale era la deliberazione del senato viniziano. Ma l'Alviano, in questo mezzo, avendo collocati i fanti suoi con sei pezzi di artiglieria in su uno piccolo argine fatto per ritenere l'impeto di uno torrente, il quale non menando allora acqua passava trall'uno e l'altro esercito, assaltò gli inimici con tale vigore e con tale furore che gli costrinse a piegarsi; essendogli in questo molto favorevole l'essersi principiato il fatto d'arme in una vigna, ove per i tralci delle viti non poteano i cavalli de' franzesi espeditamente adoperarsi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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